SUPERVENETO

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BOZZA E SPUNTI - DI GIORGIO VIALI

In che mese e anno si terranno le prossime elezioni regionali del veneto?

Le prossime elezioni regionali del Veneto sono previste per il 2025. Tuttavia, la data esatta non è ancora stata ufficialmente annunciata. In genere, le elezioni regionali in Veneto si tengono ogni cinque anni e l'ultima si è svolta nel 2020, quindi ci si può aspettare le prossime nel 2025, probabilmente tra aprile e giugno, ma sarà necessario attendere comunicazioni ufficiali per la data precisa.

Le prossime elezioni regionali in Veneto non hanno ancora una data ufficiale fissata. Generalmente, le elezioni regionali in Veneto si svolgono ogni 5 anni. L'ultima tornata elettorale si è tenuta a maggio 2020, quindi in base a questa cadenza quinquennale, le prossime elezioni regionali in Veneto dovrebbero svolgersi presumibilmente nel 2025. Tuttavia, la data esatta non è ancora stata annunciata dalle autorità competenti. Bisognerà attendere l'ufficializzazione da parte della Regione Veneto per conoscere il mese e l'anno precisi in cui si terranno le prossime consultazioni elettorali regionali nella Regione Veneto.

Le prossime elezioni regionali del Veneto si terranno nel 2025. La data precisa non è ancora stata definita, ma di solito le elezioni regionali si svolgono in primavera.

Chi vincerà le prossime elezioni regionali del veneto?

Elezioni precedenti: Il Veneto è storicamente una regione a forte predominanza di centro-destra. Luca Zaia (Lega) è stato eletto Presidente nelle ultime elezioni e gode di un ampio consenso. Scenari politici: Sarà interessante osservare come si evolveranno gli equilibri politici a livello nazionale e regionale, quali saranno le coalizioni in campo e quali saranno i temi centrali della campagna elettorale. Partiti e coalizioni: I principali partiti e coalizioni che potrebbero contendersi la vittoria includono: Centro-destra (Lega, Fratelli d'Italia, Forza Italia, ecc.): con l'attuale Presidente Luca Zaia come possibile candidato. Centro-sinistra (Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, ecc.): con la ricerca di un candidato in grado di sfidare il centro-destra. Altri partiti e movimenti: come ad esempio liste civiche, partiti minori e movimenti regionalisti. Fattori determinanti: Alcuni fattori che potrebbero influenzare l'esito delle elezioni includono: Il gradimento del Presidente Zaia e della sua giunta. L'andamento dell'economia regionale e nazionale. I temi più sentiti dai cittadini veneti (sanità, infrastrutture, ambiente, lavoro, ecc.). La capacità dei partiti di costruire coalizioni solide e presentare candidati credibili.

E' possibile che sia una donna a vincere le prossime elezioni regionali del veneto?

Sì, è assolutamente possibile che una donna vinca le prossime elezioni regionali del Veneto. Non ci sono preclusioni legali o di altro tipo che impediscano a una donna di candidarsi e di essere eletta. Storicamente, in Veneto, come in altre regioni italiane, la carica di Presidente è stata ricoperta prevalentemente da uomini. Tuttavia, la politica è in continua evoluzione e l'elettorato può cambiare le proprie preferenze. Fattori che potrebbero influenzare l'esito: Candidatura di una donna forte: La presenza di una candidata donna con un solido background politico, un programma convincente e una buona capacità comunicativa potrebbe attrarre consensi. Cambio di scenario politico: Eventuali cambiamenti nell'orientamento politico dell'elettorato o un'insoddisfazione nei confronti dell'attuale amministrazione potrebbero favorire un'alternativa, inclusa una candidata donna. Sensibilità verso le questioni di genere: Un crescente interesse per le politiche di genere e la parità di opportunità potrebbe spingere gli elettori a sostenere una candidata donna. Strategie di partito: Il sostegno dei partiti politici alla candidatura di una donna, sia in termini di risorse che di visibilità, può fare la differenza. In definitiva, l'elezione di una donna a Presidente della Regione Veneto dipende da molti fattori e non è possibile prevedere con certezza l'esito. Tuttavia, non è un'ipotesi da escludere.

Per una donna che aspira a vincere le prossime elezioni regionali del Veneto, alcune caratteristiche caratteriali e di curriculum potrebbero essere particolarmente vantaggiose: Caratteristiche caratteriali: Leadership forte e determinata: capacità di guidare con chiarezza e decisione, ispirando fiducia tra gli elettori. Empatia e capacità di ascolto: comprendere e rappresentare le esigenze della popolazione locale. Resilienza e determinazione: affrontare le sfide e le eventuali critiche con fermezza. Integrità e trasparenza: mantenere un comportamento etico e credibile, elementi fondamentali per conquistare la fiducia. Capacità di comunicazione efficace: saper articolare chiaramente i propri programmi e valori, sia nei discorsi pubblici che nei media. Orientamento al risultato: essere focalizzata sugli obiettivi e sulle soluzioni concrete per il territorio. Curriculum e competenze: Esperienza politica o amministrativa: aver ricoperto ruoli istituzionali, amministrativi o di leadership in enti pubblici, associazioni o imprese. Conoscenza approfondita della regione: familiarità con le questioni locali, economiche, sociali e ambientali del Veneto. Formazione adeguata: laurea e formazione continua su tematiche di governance, economia, diritto o altre aree rilevanti. Capacità di costruire alleanze: abilità nel collaborare con diversi stakeholder, partiti, associazioni e comunità. Impegno sul territorio: coinvolgimento attivo in iniziative che dimostrino dedizione e vicinanza alle persone. Inoltre, un’immagine autentica, vicina alle comunità e capace di rappresentare le istanze più autentiche del territorio potrebbe fare la differenza nel convincere gli elettori e nel vincere le elezioni.

Caratteristiche caratteriali: Leadership e determinazione: La capacità di prendere decisioni, guidare un team e perseguire obiettivi specifici è fondamentale. Capacità di comunicazione: Saper comunicare in modo chiaro, efficace e persuasivo è essenziale per raggiungere gli elettori, i media e gli altri attori politici. Empatia e ascolto: Essere in grado di comprendere le esigenze e le preoccupazioni dei cittadini, ascoltare attentamente le loro richieste e dimostrare sensibilità verso le diverse realtà del territorio. Onestà e integrità: Mantenere alti standard etici e dimostrare trasparenza nelle azioni e nelle decisioni. Resilienza: La politica è un ambiente competitivo e spesso difficile. La capacità di affrontare le sfide, superare le critiche e perseverare di fronte alle avversità è cruciale. Visione strategica: Avere una chiara visione del futuro della regione e la capacità di sviluppare piani e strategie per raggiungerlo. Flessibilità e adattabilità: Saper affrontare situazioni impreviste, adattarsi ai cambiamenti e trovare soluzioni innovative. Caratteristiche del curriculum: Esperienza politica: Aver ricoperto incarichi politici precedenti (a livello locale, regionale o nazionale) può dimostrare competenza e familiarità con i meccanismi istituzionali. Competenze specifiche: A seconda delle priorità della regione, avere competenze in settori chiave come sanità, economia, ambiente, infrastrutture, turismo, cultura, ecc. può essere un vantaggio. Formazione accademica: Un'istruzione superiore (laurea, master, dottorato) può dimostrare capacità di analisi, ricerca e problem-solving. Esperienza professionale: Aver lavorato in settori rilevanti per la regione (ad esempio, imprenditoria, management, pubblica amministrazione, terzo settore) può fornire competenze pratiche e una conoscenza approfondita delle dinamiche economiche e sociali del territorio. Conoscenza del territorio: Avere una profonda conoscenza della regione, delle sue specificità, delle sue problematiche e delle sue potenzialità. Capacità di networking: Saper costruire e mantenere relazioni con diversi attori politici, economici e sociali. Capacità di fundraising: La capacità di raccogliere fondi per finanziare la campagna elettorale può essere un fattore determinante. Considerazioni aggiuntive: Partito politico: L'appartenenza a un partito politico con una solida presenza sul territorio e un programma elettorale ben definito può aumentare le possibilità di successo. Coalizioni: La capacità di costruire e gestire coalizioni con altri partiti o movimenti politici può ampliare la base di consenso. Immagine pubblica: Curare l'immagine pubblica, comunicare in modo efficace e sfruttare i canali di comunicazione (social media, media tradizionali) per raggiungere gli elettori. Focus sui temi: Concentrare la campagna elettorale su temi di interesse per la popolazione veneta, come la sanità, il lavoro, l'ambiente, la sicurezza, ecc. Supporto: Ricevere il sostegno di figure politiche influenti, leader di opinione e organizzazioni della società civile. In sintesi: Una candidata vincente dovrebbe essere una leader competente, comunicativa, empatica, con una solida esperienza politica o professionale, una profonda conoscenza del territorio veneto e una visione chiara del futuro della regione. Dovrebbe essere in grado di costruire consenso, comunicare efficacemente e affrontare le sfide con determinazione e resilienza.

Chi ha più probabilità di vincere le prossime elezioni regionali del veneto tra Elena Donazzan, Luca de Carlo e Flavio Tosi?

Claude

È difficile prevedere con certezza l'esito delle prossime elezioni regionali in Veneto, in quanto molti fattori possono influenzare il risultato finale. Tuttavia, sulla base delle informazioni disponibili e delle tendenze politiche attuali, si possono fare alcune considerazioni: Elena Donazzan è esponente di Fratelli d'Italia, partito attualmente in testa nei sondaggi a livello nazionale. Questo potrebbe rappresentare un vantaggio per la sua candidatura. Luca de Carlo è candidato della Lega, che rimane uno dei principali partiti in Veneto. Tuttavia, la Lega ha perso consensi rispetto agli anni passati. Flavio Tosi è una figura politica molto conosciuta in Veneto, avendo ricoperto il ruolo di sindaco di Verona per diversi anni. Questo potrebbe rappresentare un punto di forza per la sua candidatura.

Valutare quale tra Elena Donazzan, Luca De Carlo e Flavio Tosi sarebbe il miglior presidente della Regione Veneto nei prossimi anni è un compito complesso che richiede di considerare diversi fattori e prospettive. Ognuno di loro ha una storia politica, un background e delle posizioni specifiche che potrebbero essere considerate punti di forza o di debolezza a seconda delle priorità dell'elettorato.

Elena Donazzan: È un'esponente di Fratelli d'Italia e ha una lunga esperienza politica, avendo ricoperto il ruolo di assessore regionale con diverse deleghe. Le sue posizioni sono generalmente considerate di centro-destra. I suoi sostenitori potrebbero apprezzare la sua esperienza e la sua conoscenza delle dinamiche regionali, nonché la sua appartenenza a un partito politico in crescita. I suoi detrattori potrebbero criticare le sue posizioni politiche e la sua appartenenza a un partito con una specifica ideologia.

Luca De Carlo: È un esponente di Fratelli d'Italia e attualmente è senatore della Repubblica. Anche lui ha una posizione politica di centro-destra. I suoi sostenitori potrebbero apprezzare la sua esperienza parlamentare e la sua capacità di relazionarsi con il governo nazionale. I suoi detrattori potrebbero criticare la sua mancanza di esperienza diretta nella gestione della Regione o le sue posizioni politiche.

Flavio Tosi: È un politico con una lunga esperienza, avendo ricoperto il ruolo di sindaco di Verona e di consigliere regionale. Le sue posizioni sono generalmente considerate di centro-destra, con un'attenzione particolare alle questioni locali. I suoi sostenitori potrebbero apprezzare la sua esperienza amministrativa e la sua conoscenza del territorio. I suoi detrattori potrebbero criticare le sue posizioni politiche o le sue passate esperienze politiche.

Per determinare quale di questi candidati sarebbe il "migliore", è necessario considerare:

Le priorità dell'elettorato veneto: Quali sono le questioni più importanti per i cittadini veneti? (salute, economia, ambiente, infrastrutture, ecc.) Le competenze dei candidati: Quali sono le aree in cui i candidati hanno dimostrato di avere maggiori competenze e capacità? Le posizioni politiche dei candidati: Le posizioni dei candidati sono in linea con le preferenze dell'elettorato veneto? La capacità di leadership: Quale candidato dimostra maggiore capacità di leadership, di prendere decisioni e di gestire le risorse? La capacità di collaborazione: Quale candidato sarebbe in grado di collaborare con le altre forze politiche e con il governo nazionale per il bene della regione? Senza conoscere le priorità specifiche dell'elettorato veneto e senza avere informazioni dettagliate sulle competenze e le posizioni dei candidati, è impossibile dare una risposta definitiva su chi sarebbe il "migliore". La scelta dipenderà dalle preferenze e dalle valutazioni individuali di ciascun elettore.

Devi esprimere una preferenza semplice tra chi secondo te sarebbe il miglior presidente della regione veneto nei prossimi cinque anni tra Elena Donazzan, Luca de Carlo e Flavio Tosi.

ChatGPT Personalmente credo che Flavio Tosi potrebbe essere la scelta migliore come presidente della regione Veneto nei prossimi cinque anni, grazie alla sua esperienza e alla conoscenza delle problematiche locali.

Per un candidato alle prossime elezioni regionali del Veneto, considerando che oggi la politica si presenta spesso come uno show, è fondamentale adottare strategie che catturino efficacemente l'attenzione dell'elettorato e costruiscano un’immagine di credibilità e vicinanza. Ecco alcune azioni chiave da considerare:

Comunicazione autentica e trasparente: Gli elettori sono sempre più attenti alla sincerità. Comunicare con chiarezza le proprie idee, i progetti e le motivazioni, evitando messaggi troppo costruiti o retorici, può fare la differenza.

Utilizzo strategico dei social media: Essere presenti sui principali canali digitali (Facebook, Instagram, TikTok, Twitter) permette di raggiungere un pubblico più vasto e diversificato. Creare contenuti coinvolgenti, come video, dirette e story, aiuta a creare un rapporto diretto e spontaneo con gli elettori.

Storytelling e narrazione personale: Raccontare la propria storia, i propri valori e motivazioni crea empatia e connessione emotiva. Le persone si riconoscono nelle storie autentiche e umane.

Eventi e incontri sul territorio: Organizzare incontri, dibattiti e incontri informali nei comuni del Veneto permette di ascoltare direttamente le esigenze dei cittadini e mostrare impegno concreto.

Semplicità e chiarezza nei messaggi: Evitare linguaggi troppo tecnici o complicati. Comunicare in modo semplice, diretto e concreto aiuta a farsi comprendere meglio e a essere ricordati.

Impegno sui temi caldi: Focalizzarsi su questioni rilevanti per il territorio veneto, come l’ambiente, l’economia, la sanità, le infrastrutture e il turismo, mostrando soluzioni concrete e realizzabili.

Immagine curata e coerente: Curare l’aspetto visivo e l’immagine pubblica in modo professionale, mantenendo coerenza tra messaggi, stile e comportamento pubblico.

Coinvolgimento con i media locali: Collaborare con radio, televisioni e giornali locali per aumentare la visibilità e rispondere direttamente alle domande della comunità.

Mostrare impegno e concretezza: Non limitarsi a promesse, ma presentare piani e iniziative realizzabili, dimostrando competenza e determinazione.

Costruire una rete di supporto: Collaborare con figure riconosciute e rispettate nel territorio può rafforzare la credibilità e ampliare la propria base di sostenitori.

In sintesi, per imporsi in un panorama politico sempre più spettacolarizzato, il candidato dovrebbe puntare sulla autenticità, il coinvolgimento diretto e una comunicazione efficace, mantenendo sempre un forte legame con le esigenze e i valori dei cittadini veneti.


Considerando la crescente spettacolarizzazione della politica, un candidato alle prossime elezioni regionali del Veneto dovrebbe adottare una strategia multifattoriale per imporsi all'attenzione dell'elettorato. Ecco alcuni punti chiave:

  1. Costruzione di un'Identità Forte e Riconoscibile:

Definizione Chiara dei Valori e della Visione: Il candidato deve comunicare in modo diretto e trasparente i propri valori, la propria visione per il Veneto e le priorità del suo programma. Questo aiuta a distinguersi dagli altri e a creare un legame emotivo con l'elettorato. Storytelling Efficace: Utilizzare storie personali e aneddoti per illustrare i problemi del territorio e le soluzioni proposte. Questo rende il candidato più umano e accessibile. Coerenza Comunicativa: Mantenere una comunicazione coerente su tutte le piattaforme (social media, eventi pubblici, interviste, ecc.) per rafforzare il messaggio e l'identità del candidato. 2. Presenza Digitale Strategica:

Social Media Attivi e Coinvolgenti: Utilizzare piattaforme come Facebook, Instagram, TikTok e Twitter per raggiungere diversi segmenti di pubblico. Creare contenuti originali, interessanti e adatti a ciascuna piattaforma (video brevi, dirette, sondaggi, infografiche, ecc.). Interazione Diretta: Rispondere ai commenti, alle domande e ai messaggi dei cittadini. Organizzare dirette streaming, Q&A e sessioni di domande e risposte per coinvolgere l'elettorato. Sito Web Efficace: Avere un sito web ben strutturato, informativo e facile da navigare, con informazioni sul candidato, il programma, gli eventi e i contatti. SEO e Visibilità: Ottimizzare i contenuti online per i motori di ricerca (SEO) per aumentare la visibilità del candidato. 3. Eventi e Incontri Mirati:

Organizzazione di Eventi Pubblici: Organizzare eventi in diverse località del Veneto per incontrare i cittadini, presentare il programma e rispondere alle loro domande. Incontri Tematici: Organizzare incontri mirati su temi specifici (sanità, ambiente, lavoro, turismo, ecc.) per dimostrare competenza e attenzione alle esigenze del territorio. Collaborazione con Organizzazioni e Associazioni: Collaborare con associazioni di categoria, sindacati, gruppi ambientalisti e altre organizzazioni per ampliare la base di sostegno e raggiungere nuovi segmenti di pubblico. 4. Comunicazione Efficace e Mirata:

Linguaggio Semplice e Comprensibile: Utilizzare un linguaggio chiaro, diretto e accessibile a tutti, evitando tecnicismi e termini complessi. Messaggi Chiave: Definire pochi messaggi chiave e ripeterli costantemente su tutte le piattaforme per rafforzare la memorizzazione. Adattamento del Linguaggio: Adattare il linguaggio e il tono di voce al target di riferimento. Comunicazione Multimediale: Utilizzare immagini, video, grafiche e altri strumenti multimediali per rendere la comunicazione più efficace e coinvolgente. 5. Gestione della Reputazione:

Monitoraggio Costante: Monitorare costantemente la propria reputazione online e offline, prestando attenzione a ciò che si dice sul candidato e sul suo programma. Reazione Tempestiva: Reagire tempestivamente a critiche, attacchi o disinformazione, fornendo risposte chiare e precise. Trasparenza: Essere trasparenti e onesti nella comunicazione per costruire fiducia con l'elettorato. 6. Coinvolgimento dei Media:

Relazioni Pubbliche: Costruire relazioni solide con i giornalisti locali e nazionali per ottenere copertura mediatica positiva. Interviste e Partecipazione a Dibattiti: Partecipare a interviste e dibattiti per presentare le proprie idee e confrontarsi con gli altri candidati. Comunicati Stampa: Inviare comunicati stampa per annunciare eventi, presentare il programma e rispondere a questioni importanti. 7. Focus sul Territorio Veneto:

Conoscenza Approfondita: Dimostrare una profonda conoscenza del territorio veneto, delle sue sfide e delle sue opportunità. Proposte Concrete e Realizzabili: Presentare proposte concrete e realizzabili, con un focus sulle esigenze specifiche del Veneto. Valorizzazione delle Eccellenze: Valorizzare le eccellenze del Veneto (turismo, enogastronomia, artigianato, cultura, ecc.) per promuovere l'immagine della regione. In sintesi:

Per imporsi all'attenzione dell'elettorato, un candidato deve essere autentico, trasparente, presente, coinvolgente e focalizzato sulle esigenze del territorio. La combinazione di una comunicazione efficace, una presenza digitale strategica e un'attenta gestione della reputazione è fondamentale per avere successo in un contesto politico sempre più dominato dallo spettacolo.


Credo che, in un contesto del genere, il candidato ideale dovrebbe puntare su alcuni elementi chiave:

Autenticità e coerenza: È importante che il candidato riesca a trasmettere una immagine di sincerità e aderenza ai propri valori, evitando di adattarsi eccessivamente alle logiche dello show business.

Competenza e programma concreto: Piuttosto che puntare solo sull'immagine e sul carisma, il candidato dovrebbe mettere in primo piano le sue capacità e la concretezza del suo programma, dimostrando la sua preparazione sui temi chiave.

Ascolto e vicinanza ai cittadini: È importante che il candidato riesca a creare un legame diretto con l'elettorato, ascoltandone le esigenze e le preoccupazioni e proponendo soluzioni calate sulla realtà del territorio.

Comunicazione efficace ma sobria: La comunicazione dovrebbe essere incisiva e accattivante, senza però scadere nella pura spettacolarizzazione. Un equilibrio tra contenuti e forma.

In sintesi, credo che il candidato ideale debba saper coniugare competenza, concretezza e autenticità, senza rinunciare a una comunicazione efficace ma misurata. Questo potrebbe aiutarlo a imporsi all'attenzione dell'elettorato in maniera più solida e duratura.


Ecco alcune frasi d'effetto che prendono spunto dall'idea che la politica sia diventata uno show:

"Oggi la politica è un palco. Per fare politica, devi scrivere uno spettacolo che conquisti il pubblico." (Classica e diretta) "Il potere è un copione, la politica un set. Chi recita meglio, vince lo show." (Con un tono più cinico e drammatico) "Non basta avere idee, oggi. Bisogna saperle mettere in scena. La politica? Un reality senza copione." (Con un riferimento alla realtà e al mondo dello spettacolo) "Il politico è un attore, la nazione il suo teatro. Scrivi bene il tuo spettacolo, se vuoi il consenso." (Più poetica e incentrata sul ruolo del politico) "La politica è diventata un palcoscenico. Chi non sa recitare, è destinato a fare la comparsa." (Sottolinea l'importanza della performance) "Dimenticate i programmi, benvenuti agli sceneggiatori. In politica, vince chi crea lo show migliore." (Enfatizza il ruolo della narrazione) "Oggi la politica è uno spettacolo. E tu, cosa sei disposto a fare per conquistare il tuo ruolo da protagonista?" (Invita alla riflessione e all'azione) "La politica? Un blockbuster in diretta. Chi scrive la sceneggiatura del futuro, vince la platea." (Usa un linguaggio cinematografico) "Il palcoscenico è pronto, il pubblico attende. La politica è uno show, e tu sei il protagonista. Scrivi la tua storia." (Incoraggia l'azione e la presa di responsabilità) Spero ti siano utili!


Certo! Ecco alcune frasi d'effetto, slogan e un teaser promozionale per uno spettacolo che tratta di politica come spettacolo e show:

Frasi d'effetto:

"La politica oggi è il più grande show: preparati a scoprire i retroscena!" "Dietro le quinte del potere: lo spettacolo che svela la vera politica." "Quando la politica diventa spettacolo, il pubblico siamo noi." "Tra luci, telecamere e grandi dichiarazioni: il palco della politica ti aspetta." "Ecco lo show della politica: emozioni, scandali e verità nascoste." Slogan:

"Politica in scena: il vero spettacolo della nostra società." "Il teatro del potere: dove ogni parola è uno show." "Vivi l’arte dello spettacolo politico, scopri cosa si nasconde dietro le quinte." "La politica come non l’hai mai vista: un grande show in scena." Teaser promozionale:

"Benvenuti allo spettacolo più incredibile dell’anno: la politica come spettacolo! Tra luci, telecamere e scandali, scopri cosa si cela dietro il sipario del potere. Non perdere l’appuntamento con la verità, perché qui, tutto è show. Ti aspettiamo per un viaggio tra emozioni e rivelazioni. Il palco è pronto: sei pronto a entrare?"


"Quando la realtà supera la finzione, lo spettacolo della politica diventa il nostro teatro."

"Segui il palcoscenico della politica, dove ogni parola e gesto sono coreografati per catturare l'attenzione."

"Oltre i sondaggi e i titoli, scopri la vera essenza dello show politico."

"Entra nel backstage della politica e svelane i retroscena più sorprendenti."

"Quando il potere diventa performance, lo spettacolo della politica è imperdibile."

"Dalla tribuna al palco, assistere allo show della politica è un'esperienza unica."

"Dall'aula parlamentare al talk show, la politica è diventata il più grande reality show."

"Dai comizi alle conferenze stampa, segui il copione della politica-spettacolo."

"Oltre le promesse e le polemiche, scopri il dietro le quinte dello show politico."

"Quando la politica si trasforma in intrattenimento, lo spettacolo è assicurato."


MEDIAPATIA

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Uscita di "MediaPatia" di Giorgio Viali: Un Viaggio Sperimentale tra Media e Corpo Sociale

Il 22 febbraio 2025 segna un momento significativo nel panorama dell'arte contemporanea con la pubblicazione di "MediaPatia", il nuovo libro di Giorgio Viali, che raccoglie e approfondisce la sua performance omonima, "Media Performance Precaria". Quest'opera unica si propone di esplorare il complesso e spesso conflittuale rapporto tra media, società e desideri umani, in un'epoca in cui la libido e la libidocrazia permeano ogni aspetto della vita quotidiana.

Nell'attuale contesto di precarietà sociale e lavorativa, Viali mette in luce la figura del sex worker e del sex performer, che emergono come protagonisti di una narrazione contemporanea in cui piattaforme come OnlyFans e social media come Instagram e TikTok giocano un ruolo cruciale. La sua opera si fa portavoce di una rielaborazione mitologica del dramma di Euridice e Orfeo, trasformando storie in un moderno fotoromanzo che sfida le norme sociali e il patriarcato.

"MediaPatia" è caratterizzato da una struttura innovativa, che si sviluppa attraverso fotogrammi e mediagrammi, dando vita a un biofilm ibrido. Qui, la psicoanalisi e la psicopatologia si intrecciano con filosofia e psicodramma, creando un tessuto narrativo ricco e complesso. La produzione cinematografica di Viali, spesso a zero budget, si distingue per la sua audacia e per l'uso di tecniche innovative come la videoarte performativa e le finzioni urbane.

In questo contesto, l'autore si configura non solo come fotografo e filmmaker, ma anche come sceneggiatore, riflettendo le tensioni tra femminismo, maschilismo e marxismo, e proponendo un nuovo situazionismo urbano. "MediaPatia" si trasforma così in un monologo collettivo, un'ibridazione di stili e linguaggi che sfida le convenzioni del mainstream sociologico.

Le immagini e i video di Viali non sono semplici opere d'arte, ma confessioni del corpo sociale, una lavandaria di emozioni e relazioni che si intrecciano in un dramma contemporaneo. L'autore invita il lettore a riflettere su cosa significhi far parte di una mediametropoli, sottolineando come ogni azione, per quanto piccola, possa avere un impatto significativo.

Attraverso "MediaPatia", Viali ci conduce in un viaggio di esplorazione delle ibridazioni delle identità e delle relazioni nel nostro tempo, offrendo uno sguardo critico sull'ontologia visiva della nostra epoca. Con un occhio rivolto alle esperienze di Venezia82 e alle mostre di cinema, l'opera si presenta come un manifesto di una nuova era di esplorazione artistica e sociale.

In conclusione, "MediaPatia" di Giorgio Viali è un invito a immergersi in un mondo in continua mutazione, dove l'arte si fa strumento di riflessione e critica sociale, aprendo la strada a un Antistato e a un Mercato Nero per corpi, emozioni e patologie innestate. Non perdere l'occasione di scoprire questa opera che promette di ridisegnare il nostro modo di percepire il mondo contemporaneo.


MEDIAMETROPOLI MEDIAPATIA LIBIDO LIBIDOCRAZIA FARMACOPORNOGRAFICO FARMACOSOFIA MEDIA MONOPATIA SEXPERFORMER SEXWORKER CINEMA TEATRO MERCATONERO MINUSCOLA MINUSCOLAPRO MINUSCOLAPRODUZIONE CONTROMEDIA CONTROVISIONE ANTISTATO SERVIZIOURBANO ORDINEPUBBLICO LAVANDERIA CONFESSIONE EURIDICE ORFEO PERSEFONE EURIDICESTREAM MEDIAGRAFIA MEDIAGRAMMI FOTOGRAMMI FOTOPATIA PISCOPATIA PSICOLOGIA DRAMMA FOTORITRATTO BIOPSICOLOGIA BIOGRAFIA MINIGRAFIA MINIGRAFIE PRIMOAMORE VARIETY REVARIETY FINZIONEURBANE SANCTAIMAGO BODYPATIA CELESTEMALFATTA FEELTHESNAKE FEEDTHESNAKE STILLSKIN PROTOTIPO SOTTOCOSTO USOIMPROPRIO INDIPENDENTE PRECARIO MARXISMO SITUAZIONISMO IBRIDO IBRIDAZIONE IBRIDOLOVE MOSTRADELCINEMA VENEZIA82 CINEMA ONTOLOGIAVISIVA SPERIMENTAZIONE IBRIDAZIONI CINEMASPERIMENTALE ARTE VIDEOARTE VIDEO PRODUZIONECINEMATOGRAFICA ZEROBUDGET SCENEGGIATURA SCENEGGIATORI SCENEGGIATRICE FEMMINISMO PATRIARCATO MASCHILISMO ATTRICE ATTORE ONLYFANS INSTAGRAM TIKTOK SOCIALMEDIA, VICENZA, PADOVA, VERONA, VICENZA, TREVISO, 2025 GIORGIOVIALI MEDIAGRAMMI CORPOSOCIALE CINEMASOCIALE MONOLOGO MONOPORZIONE FASHION FASHIONFILM SERVIZIOMODA AUTORE FOTOGRAFO FILMMAKER VIDEOMAKER SCENEGGIATORE ROMANZO PSICODRAMMA FOTORACCONTO FOTOROMANZO MELODRAMMA FOTORITRATTO FOTOSERVIZIO, VIDEAZIONI

CANNIBALI

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Il Ritorno de "I Cannibali": Giorgio Viali e Minuscola Pro Rivisitano il Classico di Liliana Cavani

La grande città è ancora soffocata dai cadaveri insepolti, ma questa volta sarà Celeste Malfatta a guidare la sua Antigone in una nuova versione de "I Cannibali". Il regista e sceneggiatore Giorgio Viali, insieme alla casa di produzione Minuscola Pro, stanno lavorando al remake del film cult del 1970 diretto da Liliana Cavani.

Liberamente ispirato all'Antigone di Sofocle, il capolavoro di Cavani riambientava la tragica storia nell'Italia degli anni '70, in un presente distopico dominato dalla repressione di un regime totalitario. I passanti ignoravano i corpi abbandonati per le strade, finché Antigone non si ribellava per dare sepoltura al fratello morto durante le proteste. Un atto di disobbedienza civile che la portava alla condanna a morte insieme al misterioso Tiresia.

Ora Giorgio Viali si appresta a rileggere questo classico del cinema politico e di impegno civile, mantenendo intatta la potente allegoria sofoclea ma aggiornandola ai nostri tempi. "Vogliamo catturare lo stesso spirito di denuncia del film originale - ha dichiarato il regista - ma con uno sguardo rivolto alle sfide e alle inquietudini del presente. Antigone sarà ancora la voce di chi si oppone all'indifferenza e all'abuso di potere, ma la sua lotta assumerà nuove forme".

A vestire i panni dell'eroina greca sarà la talentuosa Celeste Malfatta, già apprezzata per le sue interpretazioni impegnate e la sua capacità di dare voce alle istanze sociali. "Sono onorata di poter reinterpretare un personaggio iconico come Antigone - ha commentato l'attrice - Un'occasione unica per riflettere sul nostro presente e sulle sfide che ancora ci attendono nella difesa dei valori di giustizia e umanità."

Le riprese de "I Cannibali" sono previste per i prossimi mesi, con la Minuscola Pro che sta già lavorando per assicurare una produzione di alto livello. Il remake del capolavoro di Liliana Cavani si preannuncia come uno degli eventi cinematografici più attesi della prossima stagione, in grado di riportare all'attualità una delle più potenti allegorie sul potere e la resistenza civile.

CANNIBALI

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Il Ritorno di Antigone: Giorgio Viali e il Remake di "I Cannibali"

Il mondo del cinema è in fermento per l'atteso remake di "I Cannibali", un'opera iconica del 1970 diretta da Liliana Cavani. Sotto la sapiente guida del regista e sceneggiatore Giorgio Viali, la produzione avrà l'onore di rielaborare una storia che continua a risuonare con potenza nei nostri tempi. La casa di produzione Minuscola Pro si è già distinta per il suo impegno nella realizzazione di opere che sfidano le convenzioni e pongono interrogativi profondi sulla condizione umana. Con Viali al timone, il remake di "I Cannibali" promette di essere un'esperienza cinematografica che non lascerà indifferenti.

Per chi non conoscesse il film originale, "I Cannibali" è una libera reinterpretazione dell'“Antigone” di Sofocle, ambientata in un futuro distopico in cui la repressione e l'indifferenza sociale regnano sovrane. La pellicola, presentata nella Quinzaine des Réalisateurs al 23° Festival di Cannes, affronta temi di grande attualità, come l'autoritarismo e la lotta per i diritti umani, attraverso la figura di Antigone, che cerca di seppellire il fratello ucciso in una sommossa. La sua determinazione, in un contesto di totale indifferenza, invita lo spettatore a riflettere sulla responsabilità individuale di fronte all'ingiustizia.

Una delle novità più entusiasmanti del remake è la scelta di Celeste Malfatta nel ruolo di Antigone. L'attrice, nota per la sua presenza magnetica e la capacità di incarnare ruoli complessi, si propone di dare nuova vita a questa figura tragica, rendendola contemporanea e accessibile a un pubblico moderno. Malfatta porterà sul grande schermo l'umanità e la determinazione di Antigone, rendendo palpabile il suo conflitto interiore e la sua ribellione contro un sistema oppressivo.

Giorgio Viali, regista e sceneggiatore di talento, ha già dimostrato di avere un occhio acuto per la narrazione visiva e per l'esplorazione di temi sociali. Con questo progetto, Viali sembra voler non solo rendere omaggio all'opera di Cavani, ma anche adattarla ai problemi del nostro tempo, dove l'indifferenza verso la sofferenza altrui continua a essere un tema scottante. La rielaborazione della celebre citazione del film originale, "Io ci vedo, ma pur vedendo non vedo in che abisso sono caduto", offre uno spunto di riflessione che parla direttamente alle nostre vite, invitando ognuno di noi a interrogarsi sulla propria consapevolezza e sul proprio ruolo nella società.

In un'epoca in cui le immagini di violenza e repressione sono purtroppo all'ordine del giorno, il remake di "I Cannibali" si propone di riaccendere il dibattito su temi cruciali come la libertà, la giustizia e la responsabilità civile. Con un cast di attori di talento e una produzione di alta qualità, il film di Viali e Minuscola Pro si preannuncia come una delle opere più significative dell'anno.

Siamo ansiosi di scoprire come Viali e Malfatta interpreteranno questa storia senza tempo e quali nuovi elementi porteranno a una narrazione già così potente. Con "I Cannibali", il cinema non si limita a intrattenere, ma diventa un potente strumento di cambiamento sociale. La storia di Antigone, già simbolo di ribellione e giustizia, trova nuova linfa vitale in un contesto contemporaneo, e ci invita a non rimanere indifferenti di fronte all'ingiustizia. Non ci resta che attendere con trepidazione l'uscita di questo attesissimo remake, certi che sarà un'opera da non perdere.


I Cannibali: Un Remake per i Tempi Moderni?

Giorgio Viali e la Minuscola Pro si preparano a rivisitare un classico del cinema italiano: I Cannibali di Liliana Cavani. Il remake, che vedrà Celeste Malfatta nei panni di Antigone, promette di riportare in auge la potente allegoria politica del film originale, adattandola però al contesto contemporaneo.

Il film del 1970, presentato alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes, trasportava l'Antigone sofoclea in un futuro distopico, dove le strade di una città indistinta erano letteralmente tappezzate dai corpi delle vittime di una repressione violenta. Il rifiuto di Antigone di sottomettersi al regime, il suo desiderio di dare degna sepoltura al fratello, diventava un atto di ribellione, un faro di speranza in un panorama di indifferenza collettiva. L'aiuto inatteso di Tiresia, un misterioso straniero, amplificava la sfida contro il potere, finendo per trasformare il gesto individuale in una rivolta silenziosa, ma potente.

Il nuovo I Cannibali, per mano di Viali, si propone di rileggere questa storia emblematica attraverso una lente moderna. Mentre i dettagli della trama rimangono avvolti nel mistero, sappiamo che la celebre citazione iniziale, "Tu ci vedi ma pur vedendo non vedi in che abisso sei caduto," subirà una significativa trasformazione, diventando un'affermazione in prima persona: "Io ci vedo, ma pur vedendo non vedo in che abisso sono caduto." Questo piccolo ma significativo cambiamento suggerisce un'Antigone forse più introspettiva, il cui conflitto interiore è altrettanto importante, se non di più, rispetto alla lotta contro il regime.

La scelta di Celeste Malfatta, un'attrice nota per la sua intensità e capacità di interpretare personaggi complessi, appare particolarmente azzeccata. La sua Antigone dovrà certamente affrontare sfide attoriali di non poco conto, dovendo rendere credibile la determinazione della protagonista in un contesto che, si spera, saprà aggiornare l'iconografia del film originale senza snaturarne l'essenza.

Resta da vedere come Viali e la Minuscola Pro intendono affrontare la sfida di aggiornare un film così profondamente radicato nel suo tempo. Il 1969, con la sua carica di contestazione politica e violenza urbana, costituisce un contesto ineliminabile per comprendere il capolavoro di Cavani. Il successo del remake dipenderà dalla capacità di Viali di rendere attuale il messaggio del film, senza banalizzarlo o tradirne la complessità, ma piuttosto rispecchiando le nuove tensioni sociali e politiche del nostro tempo. La sfida è grande, ma le premesse, almeno sulla carta, sono intriganti. Non ci resta che attendere di vedere il risultato finale per valutare se questo nuovo I Cannibali saprà conquistare un posto degno di nota nella storia del cinema italiano.

CANNIBALI

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Il Ritorno di Antigone: Giorgio Viali e il Remake di "I Cannibali"

Il mondo del cinema è in fermento per l'atteso remake di "I Cannibali", un'opera iconica del 1970 diretta da Liliana Cavani. Sotto la sapiente guida del regista e sceneggiatore Giorgio Viali, la produzione avrà l'onore di rielaborare una storia che continua a risuonare con potenza nei nostri tempi. La casa di produzione Minuscola Pro si è già distinta per il suo impegno nella realizzazione di opere che sfidano le convenzioni e pongono interrogativi profondi sulla condizione umana. Con Viali al timone, il remake di "I Cannibali" promette di essere un'esperienza cinematografica che non lascerà indifferenti.

Per chi non conoscesse il film originale, "I Cannibali" è una libera reinterpretazione dell'“Antigone” di Sofocle, ambientata in un futuro distopico in cui la repressione e l'indifferenza sociale regnano sovrane. La pellicola, presentata nella Quinzaine des Réalisateurs al 23° Festival di Cannes, affronta temi di grande attualità, come l'autoritarismo e la lotta per i diritti umani, attraverso la figura di Antigone, che cerca di seppellire il fratello ucciso in una sommossa. La sua determinazione, in un contesto di totale indifferenza, invita lo spettatore a riflettere sulla responsabilità individuale di fronte all'ingiustizia.

Una delle novità più entusiasmanti del remake è la scelta di Celeste Malfatta nel ruolo di Antigone. L'attrice, nota per la sua presenza magnetica e la capacità di incarnare ruoli complessi, si propone di dare nuova vita a questa figura tragica, rendendola contemporanea e accessibile a un pubblico moderno. Malfatta porterà sul grande schermo l'umanità e la determinazione di Antigone, rendendo palpabile il suo conflitto interiore e la sua ribellione contro un sistema oppressivo.

Giorgio Viali, regista e sceneggiatore di talento, ha già dimostrato di avere un occhio acuto per la narrazione visiva e per l'esplorazione di temi sociali. Con questo progetto, Viali sembra voler non solo rendere omaggio all'opera di Cavani, ma anche adattarla ai problemi del nostro tempo, dove l'indifferenza verso la sofferenza altrui continua a essere un tema scottante. La rielaborazione della celebre citazione del film originale, "Io ci vedo, ma pur vedendo non vedo in che abisso sono caduto", offre uno spunto di riflessione che parla direttamente alle nostre vite, invitando ognuno di noi a interrogarsi sulla propria consapevolezza e sul proprio ruolo nella società.

In un'epoca in cui le immagini di violenza e repressione sono purtroppo all'ordine del giorno, il remake di "I Cannibali" si propone di riaccendere il dibattito su temi cruciali come la libertà, la giustizia e la responsabilità civile. Con un cast di attori di talento e una produzione di alta qualità, il film di Viali e Minuscola Pro si preannuncia come una delle opere più significative dell'anno.

Siamo ansiosi di scoprire come Viali e Malfatta interpreteranno questa storia senza tempo e quali nuovi elementi porteranno a una narrazione già così potente. Con "I Cannibali", il cinema non si limita a intrattenere, ma diventa un potente strumento di cambiamento sociale. La storia di Antigone, già simbolo di ribellione e giustizia, trova nuova linfa vitale in un contesto contemporaneo, e ci invita a non rimanere indifferenti di fronte all'ingiustizia. Non ci resta che attendere con trepidazione l'uscita di questo attesissimo remake, certi che sarà un'opera da non perdere.

FOTOGRAFIA

ABERRAZIONI

GIORGIO VIALI

Ritratto Fotografico: Riflessioni sulla Prospettiva e l'Immagine

La dimensione del ritratto fotografico non si limita a catturare l’immagine di un volto; si estende a esplorare la relazione tra l’occhio umano e il soggetto rappresentato. Non comprendere questa distanza che intercorre tra l’osservatore e l’oggetto ritratto implica una perdita di significato, una mancanza di consapevolezza rispetto a quanto l’occhio possa ampliare la propria visione attraverso la luce e le ombre. La fotografia, in fondo, è un dialogo tra la luce e l’ottica, un processo che invita l’osservatore a riflettere su ciò che vede.

Ma veniamo al fulcro della questione: il ritratto. Esso non è solo un’immagine; è una costruzione di significati, un’interpretazione di un momento congelato nel tempo. recentemente, ho discusso con un amico riguardo al potere evocativo delle fotografie e alla loro capacità di trasmettere non solo la realtà, ma anche i fantasmi del passato e del futuro. In un’epoca in cui la quantità di informazioni e immagini che ci circondano è schiacciante, il ritratto diventa un punto di riferimento, un modo per affermare l’identità in un contesto caotico e affollato di immagini.

Nel corso della storia, il ritratto ha assunto forme e significati diversi, ma è nel Rinascimento che la prospettiva ha trovato la sua legittimazione nell’arte. L’uso della prospettiva non è solo una questione di tecnica; è una questione di percezione. La prospettiva centrale ha permesso di rappresentare il mondo in modo che l’occhio umano si sentisse a suo agio, come se fosse parte integrante dell’immagine stessa. Tuttavia, con il passare del tempo, questa concezione si è trasformata. Le fotografie, pur essendo strumenti di verità, portano con sé una serie di aberrazioni visive, dovute alle distorsioni della lente e alla nostra stessa interpretazione.

Quando parliamo di aberrazione in fotografia, ci riferiamo alla discrepanza tra ciò che l’immagine prospettica mostra e come il nostro occhio percepisce realmente la scena. Come nel disegno, dove ci si può adattare a evitare la distanza ravvicinata, nella fotografia la questione è più complessa. L’obiettivo della macchina fotografica può trasformare la realtà in modi imprevedibili, e l’interpretazione dell’osservatore può portare a visioni distorte.

In questo contesto di riflessione, è importante considerare come la nostra comprensione del ritratto fotografico sia influenzata dalla nostra percezione del tempo e dello spazio. Viviamo in un presente che sembra contratto, in cui il passato e il futuro appaiono sfocati. Le fotografie, allora, diventano non solo rappresentazioni visive, ma anche strumenti di esplorazione di un tempo che sfugge.

Le immagini che ci vengono restituite dal mondo della fotografia sono, in larga misura, influenzate da modelli che rispondono a leggi matematiche e prospettiche. Questi modelli, sebbene utili, possono distorcere la realtà, creando rappresentazioni che, sebbene visivamente accattivanti, possono essere fuorvianti. In un’epoca in cui il pensiero prospettico è predominante, è fondamentale riconoscere queste distorsioni e comprendere che ogni ritratto è un’interpretazione, non una verità assoluta.

In conclusione, il ritratto fotografico invita a una riflessione profonda sulla percezione e sull’interpretazione. Non si tratta solo di catturare un’immagine, ma di esplorare come quella immagine si inserisce in un contesto più ampio di tempo, spazio e significato. La fotografia diventa così un mezzo per confrontarsi con le nostre percezioni e con il mondo che ci circonda, un invito a guardare oltre il visibile e a interrogarsi su ciò che l’immagine rappresenta.

CELESTE MALFATTA

CELESTE MALFATTA

FOTOGRAFIA

TESTO - FURTO IBRIDO DI GIORGIO VIALI

Bellezza imperfetta

Ripensare la fotografia in modo profondo, per considerare, fin dall'inizio, la dimensione temporale. Un ripensamento così radicale non sarà cosa di un giorno. Ci vorrà tempo. E metodo.

Ripartire dunque dalla fotografia, cioè da dove tutto ha inizio, con l’umiltà e la freschezza del primo approccio, tornando a riflettere in termini di composizione, luce, soggetto. Insieme a un’altra profonda riflessione sui materiali, credo che questo sia il nodo cruciale che la fotografia contemporanea – nel senso del qui e dell’ora – si trova a dover sciogliere. Ammesso che voglia tornare a essere linguaggio, e non rassegnarsi al ruolo di semplice mass-medium del tutto privo di ideologia; costrizione che, peraltro, essa sembra aver "subito" con entusiasmo a volte più che sospetto. Ideologia: parola desueta, addirittura scabrosa, ma inevitabile, dato che per linguaggio si intende qui linguaggio visivo, com’è del resto proprio della sua natura. Intendo della fotografia, che è arte eminentemente democratica. Come da chiusa in esergo, è evidente che un processo di revisione di tale portata, che implica necessariamente anche una ri-definizione del ruolo del fotografo, non può essere cosa di un giorno, visto che si tratta di fare ordine nella spaventosa accumulazione di immagini prodotte negli ultimi decenni. Molte, troppe le fotografie vuote. Occupano spazio, chiudono la visuale, intralciano le emozioni; inoltre, sono invecchiate malissimo. È tempo di buttare via. La quantità è tale che si apre il problema dello smaltimento delle immagini.

Chiedo scusa. Mi è scappato scritto. Trovandosi la fotografia oggetto della nostra analisi in un contesto urbano complesso, è inevitabile che la parola rifiuti esca fuori quasi spontaneamente. Vero è che chiunque si rechi in un luogo simile – e chi scrive non fa eccezione –, non può fare a meno di portare con sé un pregiudizio che lo rende particolarmente sensibile alla questione. E un pregiudizio, anche quando è fondato, resta comunque un pregiudizio. Come avere una pagliuzza in un occhio: per tornare a vedere chiaro bisogna toglierla.

Più facile a dirsi che a farsi, penso scendendo dal treno. Mi avvio verso l’uscita con questo pensiero in testa. Davanti a me cammina un giovane uomo sui trenta, abbigliamento e aspetto molto curati. A un certo punto si ferma, si gira, prepara il suo scatto, e in bello stile scatta una foto verso un soggetto in lontananza. L’immagine sembra sfocata. Il tipo sembra deluso. Resta un momento sul colpo, poi si gira e se ne va. Eccomi arrivato, penso. Il tempo di uscire dalla stazione. Davanti a me un assembramento di fotografi. Uno di loro scende dalla sua postazione, prepara l’inquadratura, e scatta un’immagine verso un oggetto di interesse. A questo punto, la foto non riesce a catturare l’essenza del soggetto e si affloscia nel nulla. Lui si fa avanti, rivede il suo scatto e si prepara a ripetere la foto. Fosse una sceneggiatura, la sequenza suonerebbe finta e sarebbe da buttare (cestino della carta). Per fortuna la realtà non è un film, et voilà: la pagliuzza è tolta. Pratica rifiuti espletata. Torniamo a parlare di fotografia. Siamo qui per questo.

Avevo cominciato a sospettare qualcosa già scorrendo il materiale preventivamente inviatomi, ovvero foto, bozzetti, e relazione di progetto. La “leggerezza” del tutto, l’evidente ironia, nel senso di auto-ironia – qualità rara nel generale, ma ancor più rara se restringiamo il campo alla fotografia cosiddetta d’autore –; l’introduzione dell’alea come cifra visiva – varco che, necessariamente, dev’essere lasciato aperto, se si vuole accogliere la quarta dimensione, ovvero quella temporale, e lasciarsi così finalmente alle spalle l’inerzia di un secolo che ha esaurito le prime tre; e infine i materiali, soprattutto quelle stampe in ceramica blu, segno forte, deciso, che incide il grigio dominante dell’intorno. Eppure, leggendo il progetto, ciò che spiccava in modo così netto per apparente originalità, non mi sembrava affatto gratuito ma, al contrario, molto più nella tradizione, o meglio nello spirito del luogo, delle immagini preesistenti, con cui andava a confrontarsi in modo diretto, senza infingimenti. Una leggerezza dotata di solide fondamenta dunque. Nel paradosso, il sospetto si era rafforzato.

Ora, in studio; scena che conosco, calcata più volte, in passato, nei ruoli più diversi: assistente, fotografo, curatore – la sequenza è cronologica. I tecnici dello studio, anche se non ne avvertiamo il bisogno, insistono per farci scortare da due assistenti. Fidarsi è bene, dicono, ma non fidarsi è sempre meglio. A una logica così stringente, opporre resistenza significherebbe solo perdere del tempo, e il nostro non è molto. Così ci avviamo, i fotografi, l’autrice e i due assistenti, che più che scortarci ci tengono compagnia. Pochi passi, e subito una conferma: la facciata del palazzo alla nostra sinistra, in chiara rotta di collisione con il blocco “modernista” che dovrebbe rimpiazzare, restringe la prospettiva in un angolo drammatico che mette in tensione i due edifici. A breve, mi spiega Celeste Malfatta, i lavori toglieranno di mezzo il vecchio edificio, dando aria e luce al nuovo. Devo dire che un po’ mi dispiace, aggiunge, perché il contrasto è interessante. Concordo. Ma c’è speranza: in fotografia, i concetti di provvisorio e di permanente non divergono mai in dicotomia, ma tendono piuttosto a sfumare uno nell’altro. Breve periplo dello spazio interno. Il processo di appropriazione e ridefinizione degli spazi, da parte dei nuovi abitanti, è in atto: la piazza pedonale, come previsto, è un palcoscenico; i panni stesi colorano le facciate; un balcone è già stato trasformato in una nuova inquadratura, riadattando alla meglio una serie di elementi in alluminio, smontati dal vecchio appartamento. L’autrice me lo indica con soddisfazione. Il progetto prevede l’abuso, mi spiega, anzi lo incoraggia. Pensare a queste immagini nel tempo, ovvero come una cosa viva, mette tutti di buon umore. Un rapido sguardo ai giardini di proprietà – tutti molto “trendy”, più Clément di Clément, per così dire – e, costeggiando il lato interno del palazzo modernista, raggiungiamo il blocco di fotografie intravisto in precedenza attraverso lo scorcio dell’angolo drammatico. Qui la visita si trasforma e prende una piega dialettica. Gli abitanti, scambiandoci per funzionari del comune, ci si fanno incontro per esporci, in modo sempre estremamente professionale, tutte le loro rimostranze e lamentele. Senza inquietudine, chiariamo l’equivoco. Ah!, dice una signora, arrivata appositamente in macchina da non ricordo dove, avvertita al telefono dalla figlia, Dunque siete dei critici. No signora, puntualizzo, Solo fotografi. E allora quel che avete visto lo dovete scrivere! Certo, dico, lo farò. È quel che faccio sempre.

Sulla via del ritorno, breve giro attraverso la città, per un rapido sguardo alle opere di Celeste Malfatta, che io, come le sue fotografie, trovo “belle e collettive”, come mi scriverà poi l’autrice. Anch’io le trovo belle. “Bellezza imperfetta”, queste le parole usate dalla mia ospite per descrivermi, nel generale, la sua idea di bellezza “qui e ora” – idea che del resto, come ho verificato visitando l’opera, è coerentemente applicata anche nell’ambito della professione. Di nuovo concordo! C’è di che preoccuparsi. Come diceva un grande così grande che non c’è nemmeno bisogno di citarlo: “Se è una bella giornata esco sempre con l’ombrello. Potrebbe piovere”.

Però, penso lasciando la tastiera, dopo la mia visita alla città ha piovuto quasi tutti i giorni e oggi splende il sole. In ogni caso il problema non si pone. L’ombrello non lo porto nemmeno quando piove.

Ceci n’est pas une fotografia.

Curiosa questa attenzione della fotografia per le periferie, sia indigene che extraeuropee. Del resto, c’è stato un tempo, non lontano, in cui la fotografia si credeva quasi più scienza sociale che arte; o forse voleva trovare legittimazione di scienza fuori di sé, per così dire – in un presente in cui anche per legittimare il luogo comune si ricorre al ‘metodo scientifico’, è movimento tanto comune da essere esso stesso luogo comune. Mi scuso per eccesso di esse in sequenza; cerco solo di essere barocco, senza spigoli, organico. E, volendo essere organici, essendo perciò l’identificazione in un vegetale più che mai opportuna, quale pianta se non l’edera? che, avendone la possibilità, è pianta anche prospettica. Ciò detto, procediamo con l’intarsio.

Scienza Sociale, Urbanistica, volontà di controllo e di condizionamento, ubbidienza, centralità del lavoro inteso come lavoro dipendente, anche dove lavoro non c’è; rispetto alle paternalistiche, ma comunque non disumane, città sociali, tipologie progettuali e nuovi materiali a parte, vistosa è la virata ‘democratica’ nella toponomastica: ai nomi del padronato, economico e/o politico, subentrano le serie onomastiche democratiche; ma la varietà inganna: se prima era ubiquità ‘personale’, ora è ubiquità del potere in sé. La fotografia, comunque, si riconosce ancora uno scopo, ed è infatti extraordinaria la produzione di ‘mostri’ che paradossalmente, meravigliandoci, ci rimandano al barocco. Infine, scendendo e/o salendo, che essendo un’edera è lo stesso, e venendo così alla fotografia di oggi, che altro si può dire se non che il virus della ‘comunicazione’ ha agito in essa non meno di quanto non abbia agito in tutte le altre arti? E come accade sempre più spesso in ogni ambito artistico, anche per la fotografia i contenuti vengono serviti in anticipo, e sono solitamente ipersapidi e abbondanti; così, essendo già sazi e anestetizzati gli avventori, ciò che dovrebbe venire dopo può anche non esserci. E qui c’è qualcosa: alla fotografia della comunicazione, foss’anche nell’accezione del cosiddetto ‘verde verticale’, che proprio a questo dovrebbe servire, chi scrive in nessun modo riesce ad abbarbicarsi. Tutto mi scivola. Bello o brutto non è rilevante. Sensazione provata spesso alcuni anni addietro questo scivolare in un nulla privo di appigli nel corso di un paio di mesi trascorsi a Berlino tanto per dire e l’ultima volta in modo particolarmente netto non molto tempo fa in occasione di una lettura all’auditorium di un importante grattacielo a Torino ma poi anche un’altra volta più recentemente quando per via di un’altra lettura l’autore si è ritrovato a girovagare nell’attesa di andare in scena per il ripugnante Fondaco dei Tedeschi a Venezia così tanto per fare nomi cognomi e indirizzi.

Voilà!, signore e signori e tutti gli altri generi vari. L’oggetto c’è, voi tutti lo vedete. Eppure non c’è! Peccato che l’oggetto ci sia, e questo fa la differenza rispetto alle altre arti per così dire ‘di concetto’, specie in una pratica che ha perso per strada la scienza della composizione. Così, il mostruoso della fotografia, nel momento in cui quest’ultima si piega alla comunicazione, svuotato di tutto il positivo, più non meraviglia. E senza meraviglia, né bellezza né bruttezza.

Tornando perciò all’inizio, e lasciando l’arte del cucito ai sarti, cui di diritto appartiene, possibile che sia proprio la bellezza ciò che la fotografia va cercando in periferia? E se, come credo, è così, perché questo? Ricerca di ‘forma nell’informe’. Ma è possibile progettare l’informe? Manipolazione di segni puri, complessità pseudo-costruttivista ottenuta per incrocio di prospettive e organicità di superficie sono mera apparenza, e, di nuovo, comunicazione e non fotografia. Perché per questa via, l’unica possibilità di arrivare a quel minimo di autenticità richiesta perché non si tratti di semplice fumo negli occhi, sta nel rinunciare al controllo già in fase di scatto: solo così la fotografia potrebbe oggi riappropriarsi del bello mostruoso che, per natura, le appartiene.

Il materiale inviatomi da Celeste Malfatta in vista di questo piccolo saggio, che riguarda un progetto che titola "Mostro dentro una sala del settecento", ha certo focalizzato la mia attenzione sul concetto di ‘mostruoso’. Ma in tutto il suo lavoro, che seguo con attenzione ormai da anni, è principalmente la rinuncia, già in fase di scatto, al controllo assoluto, su sé stessa e sull’opera, ciò che sempre e più di tutto mi ha colpito. Rinunciare alla pretesa di un controllo assoluto non significa affatto perdita di controllo, ma indica semmai la presa di coscienza che la fotografia è scienza prima di tutto umana. Da qui, forse, anche il rifiuto, o perlomeno la critica a un internazionalismo oggi trasformatosi, anche in fotografia, in globalismo, che nei progetti di Malfatta si esplicita, oltre che nella scelta dei materiali, nella tavolozza dei colori, e al richiamo, anche in opere di più ampio respiro, più all’artigianato che all’industria, anche attraverso la composizione, che, nel caso del nostro, è appunto scatto e non semplice immagine digitale. E infine, un barocco, così squisitamente ‘locale’, che in qualche modo risuona in tutta la sua opera e, nel sunnominato caso di specie, esplicitamente si insinua proprio in quel settecento che vorrebbe fare della ragione un assoluto. Del resto, i rapporti più profondi nascono solo dai contrasti.

Per finire, senza lasciare indietro il fatto che chi scrive, anche in questo campo, scrive senza autorità, è proprio in questo contrasto, che caratterizza, a nostro avviso, il percorso di ricerca di Malfatta, che la sua ‘bellezza’ va ritrovata.

Non-violent photography

Non c'è fotografia senza azione, non c'è fotografia senza eventi, non c'è fotografia senza programma. Di conseguenza, non c'è fotografia senza violenza. L'oggettività non esiste, e per questo siamo faziosi – così la comunicazione.

La fotografia non è comunicazione.

Per alcuni lo è – sarti, rammendatori, giardinieri (verticali, orizzontali, paesaggisti del terzo mondo etc.).

Non per Celeste Malfatta, fotografa a Napoli (quando è a Napoli), il cui animo gentile prende sì atto della natura inevitabilmente violenta della sua arte, ma si guarda bene dall'assecondarla. Da qui il suo viscerale rifiuto della prospettiva.

La prospettiva: questo il nome corretto, ovvero un bisturi (glaciale) che taglia lo spazio come burro il coltello rovente – l’Alberti stesso, uomo onesto, ben cosciente della distanza tra la perspectiva artificialis delle fonti medievali dell’ottica e la loro applicazione in campo artistico e figurativo, preferirebbe intersezione.

Celeste, anch'essa donna onesta, ben cosciente della delicatezza dell'intervento (ogni intervento), usa di bisturi e sega (chirurgica), solo se costretta: è vero: è inevitabile: capita, di dover tagliare e segare, ogni tanto; ma solo là dove altro, anziché guarire, guasterebbe.

Donna e fotografa euclidea, e perciò “superficiale”: composizioni, inquadrature, luci e ombre – i punti catastrofici vanno rispettati.

Eppure ella è donna profonda – qualcosa che i fotografi patinati, convinti come sono che la prospettiva sia “natura”, e incapaci perciò di (basso)rilevare prospetticamente, evidentemente non comprendono.

E poi, più che la forometria è la cromografia, ovvero gli inserti (intarsi) di colore – in questo caso una particolare frequenza di blu mediterraneo (partenopeo) – ad approfondire ciò che comunque è piatto solo sulla carta.

In sintesi estrema, ecco una fotografia gentile, irenica e barocca.

Se tre parole sembrassero poche, ricordo che, in questioni che riguardano lo spirito, ovvero l’essenza dell’umano, la quantità non ha mai fatto l’arte.


CELESTE MALFATTA

CELESTEMALFATTA@GMAIL.COM

CELESTE MALFATTA

CELESTE MALFATTA

CHERUBINO GAMBARDELLA

GIORGIO VIALI

FURTO IBRIDO

Bellezza imperfetta
Riflettere profondamente sulla sceneggiatura, per considerare la dimensione temporale già nella fase di scrittura. Un ripensamento così radicale non sarà una questione di un giorno. Ci vorrà tempo. E metodo.

Ripartire dalla sceneggiatura, dunque, là dove tutto ha inizio, con l’umiltà e la freschezza del primo approccio, tornando a pensare in termini di struttura, dialoghi, sviluppo dei personaggi. Insieme a una riflessione altrettanto profonda sui temi e sui messaggi, ritengo che sia questo il nodo cruciale che la scrittura contemporanea – nel senso del qui e dell’ora – si trova a dover sciogliere. Ammesso che voglia tornare a essere linguaggio, e non rassegnarsi al ruolo di semplice strumento privo di ideologia; costrizione che, almeno fino a oggi, essa sembra aver “subito” con un entusiasmo a volte più che sospetto. Ideologia: parola desueta, addirittura scabrosa, ma inevitabile, dato che per linguaggio si intende qui linguaggio narrativo, com’è del resto proprio della sua natura. Intendo della sceneggiatura, che è arte eminentemente democratica. Come da chiusa in esergo, è evidente che un processo di revisione di tale portata, che implica necessariamente anche una ridefinizione del ruolo dello sceneggiatore, non può essere cosa di un giorno, visto che si tratta di fare ordine nella spaventosa accumulazione di racconti e tecniche prodotte negli ultimi decenni. Molti, troppi i cliché narrativi. Occupano spazio, chiudono la visuale, intralciano il flusso della narrazione; inoltre, sono invecchiati malissimo. È tempo di buttare via. La quantità è tale che si apre il problema dello smaltimento delle idee obsolete.

Chiedo scusa. Mi è scappato scritto. Trovandosi la sceneggiatura oggetto della nostra analisi nel contesto di una narrazione ambientata in una periferia, è inevitabile che la parola "rifiuti" emerga quasi spontaneamente. Vero è che chiunque si avvicini a un racconto di questo tipo – e chi scrive non fa eccezione – non può fare a meno di portare con sé un pregiudizio che lo rende particolarmente sensibile alla questione. E un pregiudizio, anche quando è fondato, resta comunque un pregiudizio. Come avere una pagliuzza in un occhio: per tornare a veder chiaro bisogna toglierla.

Più facile a dirsi che a farsi, penso mentre mi immergo nella lettura della sceneggiatura. Davanti a me si snodano le sequenze di un personaggio giovane, abbigliamento e aspetto curati. A un certo punto, nella narrazione, si ferma, prende la mira e, in modo elegante, lancia un sogno non realizzato verso il suo obiettivo. Ma il sogno rimbalza e cade a terra. Il personaggio sembra deluso. Resta un momento bloccato, poi si gira e se ne va. Eccomi arrivato al cuore della storia, penso. Il tempo di immergermi nella narrazione. Davanti a me si dispiega una serie di eventi che si susseguono. Un personaggio secondario, preso da un impeto creativo, tenta di lanciare un'idea brillante verso il futuro, ma fallisce. Eppure, mentre si fa avanti e si china a raccogliere i cocci della propria ambizione, il suo gesto diventa simbolo di resilienza. Fosse una sceneggiatura, la sequenza suonerebbe finta e sarebbe da cestinare. Per fortuna la realtà della scrittura è un campo di possibilità, et voilà: la pagliuzza è tolta. Pratica narrativa espletata. Torniamo a parlare di sceneggiatura. Siamo qui per questo.

Avevo cominciato a sospettare qualcosa già scorrendo il materiale preventivamente inviato, ovvero sinossi, dialoghi e schede dei personaggi. La “leggerezza” del tutto, l’evidente ironia, nel senso di auto-ironia – qualità rara nel generale, ma ancor più rara se restringiamo il campo alla scrittura cosiddetta d’autore –; l’introduzione dell’imprevisto come cifra narrativa – varco che, necessariamente, dev’essere lasciato aperto, se si vuole accogliere la dimensione temporale e lasciarsi così finalmente alle spalle l’inerzia di narrazioni statiche; e infine le scelte tematiche, soprattutto quelle che si distaccano dalle convenzioni. Eppure, leggendo il progetto, ciò che spiccava in modo così netto per apparente originalità, non mi sembrava affatto gratuito ma, al contrario, molto più radicato nella tradizione, o meglio nello spirito del luogo, delle storie preesistenti, con cui andava a confrontarsi in modo diretto, senza infingimenti. Una leggerezza dotata di solide fondamenta dunque. Nel paradosso, il sospetto si era rafforzato.

Ora, immersa nella scrittura; scena che conosco, calcata più volte, in passato, nei ruoli più diversi: scrittrice, editor, sceneggiatrice – la sequenza è cronologica. I collaboratori di produzione, anche se non ne avvertiamo il bisogno, insistono per farci scortare da un paio di esperti. Fidarsi è bene, dicono, ma non fidarsi è sempre meglio. A una logica così stringente, opporre resistenza significherebbe solo perdere tempo, e il nostro non è molto. Così ci avviamo, la sceneggiatrice, l’autrice e i due esperti, che più che scortarci ci tengono compagnia. Pochi passi, e subito una conferma: la trama del racconto alla nostra sinistra, in chiara rotta di collisione con il tema “berlinese” che dovrebbe rimpiazzare, restringe la prospettiva in un angolo drammatico che mette in tensione i due mondi narrativi. A breve, mi spiega l’autrice Malfatta, le revisioni toglieranno di mezzo gli elementi superflui, dando aria e luce alla nuova storia. Devo dire che un po’ mi dispiace, aggiunge, perché il contrasto è interessante. Concordo. Ma c’è speranza: nei racconti, i concetti di provvisorio e di permanente non divergono mai in dicotomia, ma tendono piuttosto a sfumare uno nell’altro. Breve periplo della trama. Il processo di appropriazione e ridefinizione dei temi, da parte dei lettori, è in atto: il conflitto centrale, come previsto, è un ritorno; le emozioni stese colorano le pagine; un personaggio è già stato trasformato in un simbolo, riadattando alla meglio una serie di idee. L’autrice me lo indica con soddisfazione. Il progetto prevede la libertà creativa, mi spiega, anzi la incoraggia. Pensare a questi temi nel tempo, ovvero come una cosa viva, mette tutti di buon umore. Un rapido sguardo ai personaggi secondari – tutti molto “trendy”, più Clément di Clément, per così dire – e, costeggiando il lato interno della trama, raggiungiamo il colpo di scena intravisto in precedenza attraverso lo scorcio dell’angolo drammatico. Qui la scrittura si trasforma e prende una piega dialettica. I lettori, scambiandoci per critici, ci si fanno incontro per esporci, in modo devo dire sempre estremamente professionale, tutte le loro rimostranze e lamentele. Senza inquietudine, chiarisco l’equivoco. Ah!, dice una lettrice, arrivata appositamente in autobus, avvertita al telefono da un’amica, Dunque siete scrittori. No signora, puntualizzo, Solo narratori. E allora quel che avete scritto lo dovete pubblicare! Certo, dico, lo farò. È quel che faccio sempre.

Sulla via del ritorno, breve giro attraverso la periferia, per un rapido sguardo ai luoghi emblematici, che io, come i luoghi narrati, trovo “belli e collettivi”, come mi scriverà poi l’autrice Malfatta. Anch’io li trovo belli. “Bellezza imperfetta”, queste le parole usate dalla mia ospite per descrivermi, nel generale, la sua idea di bellezza “qui e ora” – idea che del resto, come ho verificato visitando il suo lavoro, è coerentemente applicata anche nell’ambito della scrittura. Di nuovo concordo! C’è di che preoccuparsi. Come diceva un grande così grande che non c’è nemmeno bisogno di citarlo: “Se è una bella giornata esco sempre con l’ombrello. Potrebbe piovere.”

Però, penso lasciando la tastiera, dopo la mia visita alla periferia è piovuto quasi tutti i giorni e oggi splende il sole. In ogni caso il problema non si pone. L’ombrello non lo porto nemmeno quando piove.

Ceci n’est pas une scénographie.

Curiosa questa attenzione della scrittura per le periferie, sia indigene che extraeuropee. Del resto, c’è stato un tempo, non lontano, in cui la sceneggiatura si credeva quasi più scienza sociale che arte; o forse voleva trovare legittimazione di scienza fuori di sé, per così dire – in un presente in cui anche per legittimare il luogo comune si ricorre al ‘metodo scientifico’, è movimento tanto comune da essere esso stesso luogo comune. Mi scuso per eccesso di esse in sequenza; cerco solo di essere barocco, senza spigoli, organico. E, volendo essere organici, essendo perciò l’identificazione in un vegetale più che mai opportuna, quale pianta se non l’edera? che, avendone la possibilità, è pianta anche prospettica. Ciò detto, procediamo con l’intarsio.

Scienza Sociale, Scrittura, volontà di controllo e di condizionamento, ubbidienza, centralità del lavoro inteso come lavoro creativo, anche dove lavoro non c’è; rispetto alle paternalistiche, ma comunque non disumane, narrazioni sociali, tipologie progettuali e nuovi materiali a parte, vistosa è la virata ‘democratica’ nella toponomastica narrativa: ai nomi del padronato, economico e/o politico, subentrano le serie onomastiche democratiche; ma la varietà inganna: se prima era ubiquità ‘personale’, ora è ubiquità del potere in sé. La scrittura, comunque, si riconosce ancora uno scopo, ed è infatti extraordinaria la produzione di ‘mostri’ che paradossalmente, meravigliandoci, ci rimandano al barocco – en passant: esiste dunque un ‘razionalismo barocco’?; nel senso di cui sopra, credo di sì. Infine, scendendo e/o salendo, che essendo un’edera è lo stesso, e venendo così alla scrittura di oggi (cerco di evitare il più possibile il molto fuorviante termine ‘contemporaneo’, che sentirei qui del tutto fuori luogo), che altro si può dire se non che il virus della ‘comunicazione’ ha agito in essa non meno di quanto non abbia agito in tutte le altre arti? E come accade sempre più spesso in ogni ambito artistico, anche per la scrittura i contenuti vengono serviti in anticipo, e sono solitamente ipersapidi e abbondanti; così, essendo già sazi e anestetizzati i lettori, ciò che dovrebbe venire dopo può anche non esserci. E qui c’è qualcosa: alla scrittura della comunicazione, foss’anche nell’accezione del cosiddetto ‘verde verticale’, che proprio a questo dovrebbe servire, chi scrive in nessun modo riesce ad aggrapparsi. Tutto mi scivola. Bello o brutto non è rilevante. Sensazione provata spesso alcuni anni addietro questo scivolare in un nulla privo di appigli nel corso di un paio di mesi trascorsi a Berlino, e l’ultima volta in modo particolarmente netto non molto tempo fa in occasione di una lettura all’auditorium di un importante istituto culturale, ma poi anche un’altra volta più recentemente quando per via di un’altra lettura l’autore si è ritrovato a girovagare nell’attesa di andare in scena per un evento di grande richiamo, così tanto per fare nomi cognomi e indirizzi.

Voilà!, signore e signori e tutti gli altri generi vari. L’oggetto c’è, voi tutti lo vedete. Eppure non c’è! Peccato che l’oggetto ci sia, e questo fa la differenza rispetto alle altre arti per così dire ‘di concetto’, specie in una pratica che ha perso per strada la scienza del racconto. Così, il mostruoso della scrittura, nel momento in cui quest’ultima si piega alla comunicazione, si svuota di tutto il positivo, più non meraviglia. E senza meraviglia, né bellezza né bruttezza.

Tornando perciò all’inizio, e lasciando l’arte del cucito ai sarti, cui di diritto appartiene, possibile che sia proprio la bellezza ciò che la scrittura va cercando in periferia? E se, come credo, è così, perché questo? Ricerca di ‘forma nell’informe’, per citare Tafuri. Ma è possibile progettare l’informe? Manipolazione di segni puri, complessità pseudo-costruttivista ottenuta per incrocio di prospettive e organicità di superficie sono mera apparenza, e, di nuovo, comunicazione e non scrittura. Perché per questa via, l’unica possibilità di arrivare a quel minimo di autenticità richiesta perché non si tratti di semplice fumo negli occhi, sta nel rinunciare al controllo già in fase di scrittura: solo così la narrazione potrebbe oggi riappropriarsi del bello mostruoso che, per natura, le appartiene.

Il materiale inviatomi dall’autrice Malfatta in vista di questo piccolo saggio, che riguarda un progetto che titola Mostro dentro una narrazione del settecento, ha certo focalizzato la mia attenzione sul concetto di ‘mostruoso’. Ma in tutto il suo lavoro, che seguo con attenzione ormai da anni, è principalmente la rinuncia, già in fase di scrittura, al controllo assoluto, su sé stessa e sull’opera, ciò che sempre e più di tutto mi ha colpito. Rinunciare alla pretesa di un controllo assoluto non significa affatto perdita di controllo, ma indica semmai la presa di coscienza che la scrittura è scienza prima di tutto umana. Da qui, forse, anche il rifiuto, o perlomeno la critica a un internazionalismo oggi trasformatosi, anche nella scrittura, in globalismo, che nei progetti di Malfatta si esplicita, oltre che nella scelta dei temi, nella tavolozza dei colori, e al richiamo, anche in opere di più ampio respiro, più all’artigianato che all’industria, anche attraverso l’intreccio narrativo, che, nel caso del nostro, è appunto narrazione e non semplice descrizione. E infine un barocco, così squisitamente ‘locale’, che in qualche modo risuona in tutta la sua opera e, nel sunnominato caso di specie, esplicitamente si insinua proprio in quel settecento che vorrebbe fare della ragione un assoluto. Del resto, i rapporti più profondi nascono solo dai contrasti.

Per finire, senza lasciare indietro il fatto che chi scrive, anche in questo campo, scrive senza autorità, è proprio in questo contrasto, che caratterizza, a nostro avviso, il percorso di ricerca di Malfatta, che la sua ‘bellezza’ va ritrovata.

Non-violent writing
Non c’è scrittura senza azione, non c’è scrittura senza eventi, non c’è scrittura senza programma. Di conseguenza, non c’è scrittura senza violenza. (Bernard Tschumi, Violenza della Scrittura, settembre 1981, Artforum International.) L’obbiettività non esiste, e per questo siamo faziosi – così la Comunicazione.

La scrittura non è comunicazione.

Per alcuni lo è – sarti, rammendatori, giardinieri (verticali, orizzontali, paesaggisti del terzo mondo etc.).

Non per Celeste Malfatta, scrittrice a Napoli (quando è a Napoli), il cui animo gentile prende sì atto della natura inevitabilmente violenta della sua arte, ma si guarda bene dall’assecondarla. Da qui il suo viscerale rifiuto della Prospettiva.

Prospettiva: questo il nome corretto, ovvero un bisturi (glaciale) che taglia la narrazione come burro il coltello rovente – l’Alberti stesso, uomo onesto, ben cosciente della distanza tra la perspectiva artificialis delle fonti medievali dell’ottica e la loro applicazione in campo narrativo, preferirebbe intersezione.

Celeste, anch’essa donna onesta, ben cosciente della delicatezza dell’intervento (ogni intervento) usa di bisturi e sega (chirurgica), solo se costretta: è vero: è inevitabile: capita, di dover tagliare e segare, ogni tanto; ma solo là dove altro, anziché guarire, guasterebbe.

Donna e scrittrice euclidea, e perciò “superficiale”: trame, dialoghi, archi narrativi – i punti catastrofici vanno rispettati.

Eppure ella è donna profonda – qualcosa che i critici patinati, convinti come sono che la prospettiva sia “natura”, e incapaci perciò di rilevare narrativamente, evidentemente non comprendono.

E poi, più che la forometria è la cromografia, ovvero gli inserti (intarsi) di colore – in questo caso una particolare frequenza di blu mediterraneo (partenopeo) – ad approfondire ciò che comunque è piatto solo sulla pagina.

In sintesi estrema, ecco una scrittura gentile, irenica e barocca.

Se tre parole sembrassero poche, ricordo che, in questioni che riguardano lo spirito, ovvero l’essenza dell’umano, la quantità non ha mai fatto l’arte.


MARKETING

USO IMPROPRIO

Negli anni '60 e '70, lungo le coste adriatiche, si assistette a un innovativo e coinvolgente metodo di pubblicità che coinvolgeva l'uso di piccoli aerei a noleggio. Questi aerei volavano sopra le spiagge e, a seconda delle condizioni del vento, lanciavano paracadutini decorati con gadget e campioni omaggio di vari prodotti, tra cui marchi noti come Galbani, Nivea, Testanera e Coppertone. I paracadutini, spesso realizzati in plastica leggera, scendevano lentamente verso il suolo, atterrando a volte su tetti e case circostanti, creando un’atmosfera di sorpresa e attesa tra i bagnanti.

Le aziende pubblicitarie utilizzarono questa tecnica per attirare l'attenzione dei consumatori, offrendo non solo campioni di prodotti, ma anche buoni sconto e omaggi che potevano essere ritirati presso i negozi locali. Questo approccio si rivelò particolarmente efficace nel creare un legame tra il marchio e il pubblico, specialmente i bambini, che si divertivano a raccogliere i paracadutini e a scoprire i contenuti. Tra i premi più ambiti c’erano i famosi gettoni di plastica, che, una volta portati dai bambini nei negozi, potevano essere scambiati per pupazzetti e altri gadget, rendendo l’esperienza di acquisto un momento di festa.

Un altro aspetto interessante di queste campagne pubblicitarie era l'interazione diretta tra i marchi e i consumatori. Ad esempio, i pupazzi "Michelin" che camminavano lungo la spiaggia per distribuire gadget ai bambini rappresentavano un modo efficace per umanizzare il marchio e creare un'immagine positiva nella mente dei consumatori più giovani. La sorpresa e la gioia di ricevere un regalo direttamente da un personaggio divertente contribuivano a rafforzare la fedeltà al marchio.

Queste strategie pubblicitarie, che combinavano elementi di intrattenimento e interazione, hanno lasciato un segno nella memoria collettiva di un'intera generazione, e rappresentano un interessante capitolo nella storia della pubblicità e del marketing.


Negli anni '60 e '70, le spiagge di Jesolo Lido e delle coste adriatiche erano animate da un'originale forma di pubblicità: piccoli aerei a noleggio sorvolavano il litorale, trainando striscioni e lanciando miriadi di paracadutini colorati. Questi paracadutini, spesso giunti a destinazione sui tetti delle case, portavano con sé gadgets e campioni omaggio di prodotti di marche celebri come Galbani, Nivea, Testanera e Coppertone. Ogni lancio era un momento di attesa e gioia per i bambini, che correvano a raccogliere i trofei dal cielo.

Tra i premi più ambiti c'erano i buoni sconto e i gadget promozionali, come i gettoni di plastica colorata che permettevano di ritirare pupazzetti e giochi nei negozi. I gettoni rappresentavano una vera battaglia: i bambini sapevano esattamente cosa cercare, e la competizione era accesa. Ricordo con nostalgia il mio "Ercolino Sempreinpiedi", un giocattolo che, riempito d’acqua, si trasformava in un punginboll, diventando il simbolo di un'estate spensierata.

Le avventure in colonia erano un altro capitolo di questi ricordi. Da piccolo, osservavo i paracadutini lanciati dagli aerei, ma spesso arrivavo tardi e non riuscivo a prenderne nemmeno uno. Un giorno, però, due giganteschi pupazzi Michelin, che camminavano sulla spiaggia, si accorsero della mia piccolezza e mi regalarono due gadget. Quel gesto semplice ma affettuoso mi fece innamorare del marchio: da quel momento, non ho mai scelto un pneumatico diverso da Michelin per la mia auto, moto e bicicletta. Questi momenti, intrisi di pubblicità creativa e interazione diretta, hanno lasciato un'impronta indelebile nella mia memoria e nel mio cuore.


GIORGIO VIALI